§ 1. Riassunto. L'idea che viene discussa è fondamentalmente quella secondo cui, poiché il proletario si colloca così come si colloca nei rapporti di potere in virtù della sua indigenza, questa indigenza definisce la sua posizione come di "forzato a vendere la propria forza lavoro". Viene discussa l'idea di questo "essere forzati a" come segno di non-libertà. Viene discussa l'obiezione "di destra" e la sufficienza con cui quelli di sinistra trattano questa obiezione.
Osservazioni.
§ 2. Riassunto. C'è un'obiezione radicale: nessuno obbliga il lavoratore ad accettare l'offerta; è libero di soffrire la fame ed eventualmente morire, nessuno lo obbliga a lavorare e ad essere alimentato a forza. Dunque in fondo, il lavoratore può sempre rifiutare. Questa obiezione non è tanto il fatto che è cinica, ma che muta i termini in questione: quando si parla di "forzato" in termini politico-economici non si sta parlando di costrizione fisica, ma di assenza di alternative accettabili. Ciò che si vuole dire è che "io sono obbligato ad accettare qualsiasi condizione di lavoro venga offerta perché non ci sono alternative migliori, accettabili". Sono libero di accettare condizioni inaccettabili.
Osservazioni. Allora qui c'è un pericoloso scivolamento sul termine "accettabile/inaccettabile", che puzza un po' troppo di idiosincratico, di psicologico, soggettivo. --> Ciò che deve entrare nella protesta socialista è l'idea di Hagglund: il fatto che potenzialmente dal punto di vista capitalistico è "inaccettabile" solo quella condizione che o porta all'esaurimento della forza lavoro, l'inedia, o non è sostituibile con altra forza lavoro. Dal punto di vista del proletario invece è tanto più accettabile quella condizione quanto più libera il tempo di vita non legato alla necessità naturale. Questo può essere storicamente relativo, in base alle opportunità che la produttività consente (capitale organico) e cioè in base a quanti bisogni primari possono storicamente essere soddisfatti senza lavoro.
§ 3. Riassunto. Obiezione di Nosick, liquidata velocemente. Nozick rileva che non avere alternative accettabili ad A non implica affatto essere forzati a fare A. Tanto più se l'assenza di alternative ad A deriva da un processo privo di ingiustizie. Questa tesi di Nozick ha l'inconveniente di implicare che se x è in carcere perché ha commesso un reato, allora non è propriamente "forzato" a rimanere in carcere, ma semplicemente non ha alternative migliori.
Osservazioni. 1) E' un po' l'idea sartriana di libertà assoluta. Che non riflette la "libertà sociale" in senso hegelian-honnethiano. 2) E' una strana tesi "morale" quella di Nozick, è da notare come lega mancanza di libertà a ingiustizia: chiaramente dipende da un'idea rigorosamente negativa di libertà. Se un processo non presenta costrizioni ma conduce a restrizioni drastiche di opzioni non è ancora possibile dire che conduce a restrizioni di libertà, perché per definizione c'è ancora libertà . E' come se la libertà e l'ingiustizia fosse legata solamente ad uno organo esterno; ma "esterno" a chi? è stranissima come posizione.
§ 4. Riassunto. C'è una precisazione terminologica sul predicato "essere forzato a vendere la propria fora lavoro". In Marx c'è uuna forte intenzione di considerare ciò una oggettiva situazione di illibertà, di costrizione. Perciò quando si parla di "condizioni inaccettabili" non bisogna avere in mente una valutazione soggettiva. Non bisogna rischiare di confondere "illibertà" con "incapacità" (sicurezza di sé, livello culturale, atteggiamento, ecc. Talvolta si può parlare di "diffidenza", e questa può avere cause oggettive). Un'altra precisazione: pur essendo d'accordo con Frankfurt che non bisogna considerare paradigmatica limitazione di libertà la costrizione proveniente da altri, Cohen prenderà questa strada. Anche se accettiamo l'idea degli althusseriani, le strutture di pèotere nella produzione capitalistica non sono in alcun modo "auto-sostenentesi" senza il contributo delle persone.
Definizione: un operaio è "forzato a vendere la propria forza lavoro" nel senso pertinente se e solo se il vincolo, la costrizione a farlo, è un risultato del normale esercizio del potere in relazioni di produzione. Se un millionario è costretto a vendere la propria fora lavoro sulla base di un ricatto, non è obbligato nel senso rilevante del marxismo: non è sulla base dei normali rapporti di produzione, uso standard del potere economico.
Osservazioni
§ 5. Riassunto. C'è un'obiezione più sostanziale all'idea che i proletari siano obbligati a vendere la propria forza lavoro, ossia la presenza di persone che pur non avendo niente, non sono costretti a venderla,pur essendo all'interno di rapporti di produzione capitalistici. Siccome possiamo dire che quasi tutti i proletari in Inghilterra hanno la possibilità di risparmiare qualcosina anche se con sforzi e sacrifici, possono fre come quegli immigrati che sulla base di pochi risparmi sono riusciti a comprare un negozio e ad elevarsi al di sopra della condizione di proletari. Dunque non è vero che il proletario "è obbligato a vendere la propria forza lavoro", forse per un periodo lo è, ma non intrinsecamente.
Osservazioni
§ 6. Riassunto. Ci sono due obiezioni facili all'obiezione di cui sopra, e Cohen si occupa di smontarle. La prima sostanzialmente dice che l'obiezione dimostra solo che il proletario non è obbligato a rimanere proletario, ma fin tanto che è proletario è obbligato a vendere la sua forza lavoro. Cohen sottolinea però che nel marxismo ciò che conta è proprio l'idea che se X nel tempo t è obbligato, continuerà ad essere obbligato a vendere la sua forza lavoro. Perciò l'obiezione "di quelli che ce l'hanno fatta" è rilevante, non può essere smontata semplicemente temporalizzando il predicato"essere libero". Si tratta proprio di vedere se ci sono questi fattori perpetuanti o se invece non ci sono.
Osservazioni. Ad esempio, conta molto la possibilità per il proletario di usufruire di fortuna, abilità, consocenze, ma anche di poter accumulare; cioè di avere uno stipendio che consente di far fronte a prescrizioni varie: affitto, bollette e simili, e insieme di risparmiare alcuni soldi seppur sfiorando la fame, ma poi imbroccare la strada per uscirne.
§ 7. Riassunto. Seconda obiezione. Il sistema capitalistico è così fatto che se tutti uscissero dalla condizione di proletari, il capitalismo si disgregherebbe, non sarebbe più. Quindi se vi è sistema capitalista la gran parte dei proletari dovranno rimanere proletari, quelli che ce la faranno dovranno essere solo una piccola parte.
Osservazioni. L'obiezione è stata formulata dallo stesso Marx. Si noti questo passaggio: "se tutti uscissero, allora il sistema si dissolverebbe", di contro a "se tutti potessero uscire...". Nella seconda formulazione viene salvata l'obiezione di destra: la possibilità c'è, le persone abili la vedono e la imboccano, quelli non abili rimangono proletari, ma non è vero che perciò "sono obbligati a rimanere proletari", ne hanno dei vantaggi; non vogliono rischiare. E' difficile obbiettare a questa visione. Da un punto di vista egualitario e inclusivo, di "libertà sociale democratica" e di "socialismo democratico", potremmo dire che siamo moralmente tenuti, in nome del valore della libertà, a fornirci l'un l'altro le condizioni di ampliare, avvicinare, esercitare a cogliere quelle opportunità, e a "rimuovere gli ostacoli ...", ma ciò non di meno dovremmo ancora ammettere che il capitalismo restringe, rende difficile, l'uscita dalla condizione di proletario, ma non obbliga. Dovremmo cercare cioè un sistema più fluido e inclusivo, ma è comunque abbastanza inclusivo. Se la formulazione "possono uscire" è giusta, se cioè ci sono le condizioni oggettive per non essere costretti, allora le difficoltà sono soggettive. Se è così, significa poi che il capitalismo avrebbe al suo interno un meccanismo per il suo auto-oltrepassamento dialettico, cosa che invece la prima formulazione esclude, il che la rende a parer mio eccessivamente irrealistica, troppo ad hoc e tragica; dovrebbe cioè mostrare quei meccanismi di rinforzo.
§ 8. Riassunto. L'rgomento del paragrafo precedente Cohen lo sviluppa con l'analogia della stanza. In questo paragrafo fa un'osservazione molto importante. In quella stanza una persona ce l'ha fatta proprio grazie al fatto che le altre persone non se la sono sentita o non ne avevano le capacità o le opportunità (ad esempio la chiave era oggettivamente più vicina ad uno che agli altri). Se tutti avessero voluto e potuto prendere la chiave, allora comunque una sola persona sarebbe uscita: è una lotta per uscire e l'opportunità è metodicamente ristretta. La possibilità oggettiva di uscire c'è, ma è artificialmente ristretta e condizionata a che gli altri non la colgano. In questo senso c'è un grande dosaggio di illibertà in quella situazione. Questo sarebbe un ottimo caso di "libertà soggettiva" ma "illibertà collettiva". Supponiamo il caso che ci sia un sentimento di solidarietà all'interno della stanza-classe. Allora in questo caso ci sarebbe un motivo di altro ordine per non lasciarla, e cioè che 1) ogni tentativo di lasciarla individulamente sarebbe visto male, 2) ogni tentativo di lasciarla dovrebbe essere parte di un tentativo di una liberazione collettiva. In questo senso, individualmente alcuni sarebbero liberi - nello specifico, quelli abili - ma collettivamente sarebbero sempre imprigionati: nell'analogia: non potrebbero dire al carceriere: "siamo liberi". Cohen qui suggerisce il parallelismo con l'argomento di Marx per cui è ideologico dire che il singolo proletario sarà anche obbligato a rivolgersi al capitalista, ma non a un particolare capitalista; così allo stesso modo il singolo operaio è oggettivamente libero, ma collettivamente non libero; in quanto classe è non libero. Se non sono liberi tutti allora non sono libero neanch'io. "Ciò che è vero per tutti deve essere vero per ciascuno": è vero per ogni singolo lavoratore che è libero di lasciare la classe, ma non per tutti i lavoratori contemporaneamente. E il motivo per cui il singolo lavoratore è libero di lasciare la classe è che gli altri non vogliono lasciarla; e il motivo per cui gli altri non vogliono lasciarla è che tutto ciò che è desiderabile se accade a tutti i membri contemporaneamente non è necessariamente desiderabile se accade a un membro separatamente ed esclusivamente.
Osservazioni. In questo caso sembra proprio che sia il valore della solidarietà a rendere meno desiderabile ciò che è desiderabile. Se l'opzione di rimanere nella classe lavoratrice è meglio di altre opzioni inaccettabili, è comunque anche meglio dell'abbandono dei valori di uguaglianza e solidarietà e giustizia. Ciò che è propagandato come migliore è lo stile di vita capitalista, ma questo non è affatto detto sia migliore.
§ 9. Riassunto. Si elencano tre motivi per cui rimanere nella classe lavoratrice rende evidente che è una illibertà non poterne uscire tutti contemporaneamente. Significa che è un gioco a cui non vogliamo partecipare. Tre motivi, cioè, per cui le vie d'uscita non sono affollate di aspiranti fuggitivi - come invece negli Usa (grossomodo). 1) Perché non tutti ne hanno le capacità e molti se ne rendono conto o cmq ci credono, lo accettano; 2) perché c'è un'ideologia che naturalizza, de-storicizza le condizioni di status sociale; 3) perché è verosimile il divario valoriale esplicitato da Brecht: nessun servo sotto di me, nessun boss sopra di me, e questo come valore collettivo, anche di disprezzo per la meschinità borghese.
Osservazioni. Valori tuttalpiù "imprenditoriali" ma non borghese-capitalistici; cmq egualitari, cooperativisti, di solidarietà. Per molti liberali potrebbero non essere una cosa positiva, promuovendo invece l'individualismo morale; poi magari promuovono il solidarismo all'interno dell'organizzazione in modo più o meno gerarchico e quindi ipocrita e opportunistico.
§ 10. Riassunto. Nel resto dell'articolo verranno discusse la validità e alcune implicazioni degli argomenti
(7) = I lavoratori inglesi sono individualmente liberi di lasciare il proletariato perché ci sono più vie d'uscita di quanti sono i lavoratori orientati a imboccarle; e
(8) = I lavoratori inglesi sono collettivamenti non liberi, sebbene individualmente liberi, di lasciare il proletariato, perché le vie di uscita sono poche e affollate. (O cmq se fossero affollate sarebbero comunque poche, cio la diseguaglianza di opportunità è strutturale e naturalizzata ideologicamente). Quelli di destra applauderanno all'argomento 7, quelli di sinistra all'argomento 8.
Osservazioni. Decidere se la 7 o la 8 sono vere o incompatibili, è una questione filosofica? quanto è empirica? (Canzone rap tra Marx e Von Mises)
§ 11. Riassunto.C'è un'obiezione interessante alla tesi 8, che si basa su un'idea politica di libertà per la quale i proletari non sono non-liberi, perché si trovano in una condizione di deprivazione di libertà per processi anonimi e impersonali, come sono quelli che conducono alla creazione di poche vie di uscita dalla subordinazione, analogamente a quelle per cui dei primitivi finirebbero in una caverna senza poterne uscire. I proletari sono "inabili" ma non "non -liberi". I diritti di proprietà privata ad essere rafforzati sotto il capitalismo e sono questi a creare quella disparità strutturale tra chi è subordinato e chi esce da quella cndizione per diventare un proprietario-borghese: sono un caso di esito anonimo di un collettivo operare disgregato o si tratta di un operare umano e quindi di "illibertà"?
In ogni caso, sembra una questione marginale questa della distinzione concettuale, perché io per l'appunto "libero" anche quelli prigionieri nella caverna. Il che illustra bene anche la differenza tra individualmente liberi e collettivamente.
Osservazioni.
§ 12. Riassunto.
Osservazioni.
§ 13. Riassunto.
Osservazioni.
§ 14. Riassunto.
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